Tragici eventi come il terremoto dell’Abruzzo e la sciagura ferroviaria di Viareggio hanno colpito il cuore di tutti gli Italiani. Le persone si sono ritrovarte d’improvviso senza casa, senza lavoro, senza affetti. Quanto faticosamente costruito nell’arco di una vita perso in una notte!
In una società superficiale, frettolosa e tesa al "successo", che vive nell’illusione di un’eterna felicità ottenuta attraverso la negazione dello scorrere del tempo (ad esempio con la ricerca di una perenne giovinezza con interventi di chirurgia estetica), questi eventi hanno il potere di risvegliare nella coscienza collettiva la consapevolezza della finitezza della vita e mettere in moto reazioni di fratellanza per condividere un dolore che accomuna tutti offrendo sostegno e consolazione. Ecco funerali di Stato con la partecipazione di tutta la comunità e di uomini politici, commemorazioni pubbliche a distanza di mesi.
L'esperienza di perdere qualsiasi cosa di sentito soggettivamente come prezioso procura dolore: per una cosa amata (“la mia casa è distrutta”), per qualcosa che sentivamo facente parte della nostra identità, come una capacità (“dopo un incidente, non posso più camminare”), uno stato (“mi hanno licenziato”), una qualità, una pura e semplice possibilità. E poi, il dolore derivante dalla morte di una persona cara, una delle esperienze più intense e profonde che dobbiamo affrontare nella vita.
La cultura occidentale contemporanea che ha abolito la grande maggioranza dei propri riti, ha perso la possibilità di esprimere in modo collettivo e simbolico il cordoglio per la morte di una persona; questo è diventato un fatto sempre più privato che lascia l’individuo solo nell’affrontare la sua profonda crisi.
Le prescrizioni di costume per essere considerati “normali e moderni” impongono un contenersi nell’espressione del dolore e una risoluzione veloce e impersonale. La legge stabilisce il permesso per lutto in tre giorni retribuiti in caso di lutto famigliare dovuto a decesso del coniuge o parente fino al secondo grado non affini. Il messaggio sembrerebbe essere “se muore tuo marito puoi soffrire… ma devi riprendere il tuo ruolo in tre giorni… se perdi tuo cugino non dovresti soffrire!”. La sofferenza è vista come perdita di tempo; la morte un problema e il dolore che causa, un inconveniente.
La discrepanza tra le aspettative sociali e la realtà interiore di chi è stato colpito da un lutto potrebbe abbassare l’autostima delle persone: (“Non dovrei provare questi sentimenti. Se le cose stanno così è perché non sono capaci di affrontare e risolvere i miei problemi”) e indurre così a nascondere agli altri e a se stessi la propria sofferenza. È vero, il dolore fa male, ma cercare di evitarlo, annullarlo o attenuarlo può essere più dannoso che viverlo perché conduce a restrizioni e a non-realizzazioni del Sé.
La corretta elaborazione del lutto è di fondamentale importanza per la salute mentale. Numerosi studi evidenziano, infatti, che una delle principali fonti di trasmissione della patologia mentale tra le generazioni risiede proprio nell’incapacità o impossibilità di elaborare i lutti da parte dei genitori.
Questo è un processo lungo e articolato caratterizzato da un miscuglio di emozioni, malinconia, pena, rabbia, colpa, rimpianto, vuoto, desiderio e stato di abbandono. Alcune di queste emozioni ci assalgono e travolgono ad ondate, altre sembrano radicarsi e persistere a lungo nel tempo. Non esistono sentimenti rispettabili o sentimenti deprecabili. Ciascuna emozione gioca un suo ruolo specifico nel processo di cicatrizzazione. Nessuno conosce la ricetta perfetta per superare quei momenti e pur esistendo elementi comuni, ciascuno li vive in maniera diversa.
Il primo passo per gestire questo lacerante dolore è quello di accettare di viverlo: “Riconosco il mio dolore per quello che è, ne capisco la sensatezza, e voglio bene a quel me stesso che, poveretto, sta soffrendo”.
Venendo a mancare il supporto emotivo e la guida che in passato erano fornite dalle famiglie numerose e dalla società, l’evento di passaggio rischia di trasformasi in un perché persecutorio e senza risposta, in una perdita di senso e direzione. In tale contesto lo psicologo può diventare il compagno di viaggio che ha gli strumenti necessari per orientarsi, la bussola per attraversare il deserto.
Dott.ssa Antonella Fiorentino